venerdì 31 dicembre 2010

Auguri!



















Ci ritroveremo - dopo una lunghissima pausa, lo so - ai primi di gennaio per continuare il nostro dialogo: ho molte cose da raccontarvi, viste, vissute, immaginate e lette.
In attesa vi lascio i miei migliori auguri per un fantastico 2011.
A presto.
St.

sabato 4 dicembre 2010

Sciocchezzaio libresco













Volevo segnalarvi un blog che, da questo momento, trovate anche nella colonnina qui a fianco. Si chiama Unopopperuno, lo tiene Guido Vitiello - un professore che, tra le altre cose, cura una bellissima rubrica su "Internazionale" - e parla di libri.
Una quindicina di giorni fa, Vitiello aveva scritto un post molto divertente intitolato: "Sciocchezzaio libresco. 7 luoghi comuni per la lettura" a cui, due giorni orsono, ha fatto seguire: "Più libri più liberi un corno".
In entrambi questi post, l'autore mette in fila, motivandoli argutamente, alcuni luoghi comuni a proposito dei libri.
Qui mi limito a elencarli tutti e 14, uno di fila all'altro. Per le motivazioni - tutte condivisibili e divertenti -vi rimando al blog di Vitiello.
1. Io i libri li finisco per principio, non li lascio mai a metà.
2. Quest'estate ho riletto la Recherce (specie se detto da un under 35).
3. La trama non m'interessa, mi interessa il modo in cui è raccontata.
4. L'amore per i libri e la cultura uniscono le persone.
5. I soldi spesi nei libri sono sempre ben spesi.
6. Quanti libri che hai: li hai letti tutti? (sic)
7. Non ho letto Melville e me ne vergogno profondamente.
8. I libri sono cibo per la mente.
9. Non puoi giudicare un libro dalla copertina.
10. I libri devono essere vissuti.
11. Certe cose non puoi capirle in un libro, devi viverle in prima persona.
12. Regala un libro che va sempre bene.
13. I libri non si buttano mai.
14. Più libri, più liberi.
Chiunque di noi abbia mai pronunciato una di queste frasi può, se crede, provare qualche secondo d'imbarazzo ;-)

mercoledì 1 dicembre 2010

Courmayeur



















Dal 7 al 13 dicembre sarò a Courmayeur per assistere a quello che, a mio parere, è il più bel festival cine-letterario che si svolga in Italia: il "Noir in Festival". E' qualche anno che non ci vado, ma in passato l'ho frequentato spesso - fin dai tempi in cui si chiamava "Mystfest" - e sempre con enorme piacere.
Sarà un'occasione per incontrare amici che non vedo da tempo, per fare nuovi incontri, per vedere un sacco di bei film - che, altrimenti, non vedrei mai - e per farmi autografare la prima edizione de: "La memoria del topo", uno dei miei libri preferiti: sì perché a Courmayeur, dal 7 al 13, ci sarà anche il grandissimo Michael Connelly.
10 film in concorso, 5 documentari noir, eventi speciali come la proiezione della miniserie "Carlos", e incontri quotidiani con scrittori di gialli del calibro di Anne Holt, Ian Pears e Giorgio Faletti. E ancora: una curiosa rassegna di film sui supereroi all'italiana - "Kriminal", ma anche "Superargo contro Dabolikus"- curata da Marco Giusti, un omaggio a Neil Gaiman e un incontro con il grande Lorenzo Mattotti.
Chi volesse saperne di più può visitare il sito del Noir in festival.
Ah, dimenticavo, domenica 13 dicembre sarò tra gli ospiti della bella trasmissione dell'amico Luca Crovi: "Tutti i colori del giallo" - Radio 2, ore 13.00 - in onda, per l'occasione, proprio da Courmayeur. Con noi ci saranno anche Anne Holt e Tito Topin.
Ascoltateci se potete.

giovedì 25 novembre 2010

Logiche...











Da quando scrivo per la televisione succede spesso che qualcuno - un regista, un editor o un produttore - davanti a una mia obiezione nei confronti di qualcosa che mina la logica del racconto, mi dica questa frase: "Ma nei gialli televisivi non torna mai tutto." Con la variante: "Se tutto dovesse essere logico non si farebbero più gialli in televisione." Come a dire: metti due morti in più - una delle richieste più gettonate - e consegnaci la sceneggiatura, invece di preoccuparti di questioni di logica.
Queste frasi le sentivo spessissimo quando mi occupavo di Rex e mi capita di sentirle ancora oggi. Ma non le ho mai sentite da nessun editor della "Sergio Bonelli Editore". Quando scrivevo "Nick Raider" dovevo sudare le proverbiali sette camice per soddisfare il rigore logico di Renato Queirolo secondo cui, in una storia, deve tornare tutto e il pressapochismo è uno dei principali nemici della scrittura.

domenica 21 novembre 2010

Psychoville
















E mentre qui da noi, RAI e Mediaset continuano a propinarci serie come: "Terra ribelle" - di cui anch'io sono in parte responsabile - e "Il peccato e la vergogna", la BBC, ha prodotto e mandato in onda nel 2009 un oggetto misterioso e sgradevole - nel senso buono del termine - come "Psychoville".
Ne ho avuto notizia da Sandrone Dazieri e, immediatamente, sono corso a recuperarlo.
La partenza è quanto di più semplice (e banale) si possa immaginare: a cinque persone che vivono in diverse parti dell'Inghilterra, arriva una busta chiusa con un sigillo di ceralacca. Dentro, vergate a mano con calligrafia ottocentesca, sono scritte solo cinque parole: "I know what you did", "So che cosa hai fatto."
I cinque personaggi che ricevono la missiva - tutte raffigurate nella bellissima locandina che vedete qui sopra e che da qualche giorno fa bella mostra di sé nel mio studio - sono, rispettivamente: un clown con un uncino al posto della mano che terrorizza i bambini durante le feste di compleanno per cui viene assunto, un vecchio cieco ossessionato da una linea di pupazzi di peluche di cui è il più grande collezionista vivente, un'ostetrica convinta che suo figlio si sia reincarnato in un vecchio bambolotto male in arnese, un serial killer ritardato con madre ossessiva a carico e un nano, un tempo attore di film porno e ora impegnato a interpretare Mammolo in una sgangherata e ridicola piece su "Biancaneve".
Quello che li accomuna è che, anni prima, sono stati tutti internati nel medesimo manicomio, dove è stato commesso un brutale omicidio.
La lettera e l'omicidio sono, in realtà, solo un pretesto narrativo per raccontare le storie di questi personaggi che sembrano usciti da un "Freaks show" ottocentesco: tutti decisamente ributtanti e sgradevoli, almeno all'inizio.
Ben presto ad essi si affiancheranno altri characters all'altezza: una copia di laide gemelle siamesi che passano la vita a comprare e a vendere oggetti su e-bay, un medico che ha scoperto da poco la sua vera vocazione... e una coppia di diabolici quanto improbabili amanti.
Se all'inizio si rimane spiazzati e perplessi per il tono sopra le righe e per la facilità con cui la serie passa dalla farsa, al dramma, dall'horror al comico, piano piano si inizia ad entrare nelle storie di questi personaggi, grazie a una sceneggiatura sempre all'altezza, a una recitazione spumeggiante - Reece Shearsmith e Steve Pamberton, i due sceneggiatori, interpretano anche, con grande abilità, più ruoli - e a una serie di trovate a raffica, alcune francamente geniali. Come, per esempio, l'ìdea di trasformare un'intero episodio - il quarto - in una sorta di omaggio a "Nodo alla gola", con tanto di cadavere nella cassapanca, investigatore (?) che arriva sulla scena e un lungo, interminabile piano sequenza che occupa l'intera puntata, proprio come nel film originale, l'unico girato da Alfred Hitchcock senza stacchi.
Omaggiando il genere horror - a tratti, la serie fa davvero paura e Stephen King è citato di continuo - il musical - esilarante una scena ambientata in un museo delle cere dove le statue dei più famosi serial killer si animano e suggeriscono, cantando, a uno dei protagonisti il modo giusto per uccidere - e qualunque altro genere venga loro in mente, Shearsmith e Pamberton riescono anche a farci pensare, a commuoverci per le vicende dei loro strambi personaggi e a farci ridere, in alcuni casi, fino alle lacrime.
Sbracata, irriverente, goliardica, ma anche profondamente drammatica e intelligente, "Psychoville" è, a parere di chi scrive, una serie che va assolutamente vista, soprattutto da tutti coloro che, come me, si sentono, da anni, orfani dei "Monty Python", gruppo a cui i due autori/attori chiaramente si ispirano.

Con colpevole ritardo



















E' con colpevole ritardo che, ieri, ho visto "Shadow" di Federico Zampaglione. Purtroppo, a causa la solita insensata distribuzione italiana non ero riuscito a beccarlo al cinema. Nei pochi giorni in cui era rimasto nelle sale, non mi trovavo a Roma e in provincia, dove vivo, non è mai arrivato, così mi sono dovuto accontentare di vederlo in DVD.
Beh, devo dire che mi è piaciuto. I difetti presenti soprattutto nella sceneggiatura, sono molti meno rispetto agli innumerevoli meriti. Ci sono alcuni momenti in cui il film gira un po' a vuoto - tipo la morte dei due cacciatori - a cui, però, fanno da contraltare: una bellissima fotografia, un'impressionante colonna sonora, molte scene che fanno veramente paura, una regia che non ti aspetti - la passione di chi ci ha lavorato e la conoscenza che Zampaglione ha del genere trasuda da ogni singolo fotogramma e la parte nei boschi è di altissimo livello - e un cattivo davvero spaventoso e spettacolare.
Il film inizia come "Un tranquillo weekend di paura", prosegue come "Hostel" e finisce come... beh, questo non ve lo posso proprio dire.
Malgrado questo apparente patchwork, Zampaglione riesce a trovare una sua cifra stilistica e porta a compimento, tramite un finale non improvvisato, un discorso interessante sulla guerra e sulla violenza. Dico "finale non improvvisato" perché, contrariamente a quanto scritto da molti recensori, gli indizi per arrivare alla verità ci sono tutti e sono sistemati con cura nel corso del film: il finale funziona, quindi chi se ne frega se ricorda da vicino quello di un altro film?
Insomma, era da molto tempo che non mi capitava di vedere un film horror italiano di questo livello: non so se questo sia segno di qualcosa oppure se - visti i risultati al botteghino interamente imputabili alla distribuzione - rimarrà solo una (interessante) meteora. L'unica cosa certa è che ieri, da appassionato e maniaco del genere, mi sono proprio divertito.

martedì 16 novembre 2010

Il cimitero di Praga

















Malgrado gli impegni e la mia cronica mancanza di tempo, l'ho divorato in due giorni. E ne valeva la pena.
"Il cimitero di Praga", oltre ad essere un libro necessario e puntuale - anche per le analogie con la cronaca di questi mesi e la cosidetta "fabbrica del fango": è incredibile che Eco abbia iniziato a scriverlo 5 anni fa - è anche molto bello, colto, divertito e divertente. E contiene un discorso davvero interessante su come si possa manipolare sia la Storia che ogni tipo di storie.
La trama la conoscono tutti: ripercorre la vita immaginaria di Simonino Simonini, individuo spregevole che compone, a pagamento, ogni sorta di falso, compresi i nefasti "Protocolli dei savi di Sion", di cui anche il grande Will Eisner ha ripercorso, nella sua ultima opera, la storia.
Simonini è un "odiatore" - se mi perdonate la parola - come ce ne sono tanti anche ai nostri giorni. Misogino fino all'inverosimile, antisemita e sostanzialmente stupido - come tutti i razzisti, secondo le parole dello stesso Eco - è, però, un protagonista di quelli che non si dimenticano.
Il libro conferma quello che per me rimane ancora, a distanza di trent'anni da "Il nome della rosa", un mistero: come possa uno dei pochi veri intellettuali che ci ha donato la modernità italiana, che scrive libri obiettivamente difficili, poco consoni al gusto del pubblico, e che va pochissimo in televisione, scalare in questo modo le classifiche di vendita.
Ecco qualcosa che, come le prime due puntate di "Vieni via con me", in questi ultimi giorni non mi hanno fatto vergognare di essere italiano.

PS: Consiglio a tutti coloro che vogliano passare 40 minuti in compagnia di Umberto Eco il bellissimo videoforum, condotto da Silvia Luperini e Antonio Gloli, che trovate sul sito di "La Repubblica", QUI.

mercoledì 10 novembre 2010

Il califfo


















Ho conosciuto Franco Califano un paio di anni fa. Aveva scritto la sceneggiatura per un film intitolato "Vacanze a Rebibbia" - una sorta di "Vacanze di Natale", ma ambientato in carcere - e l'aveva proposta a un produttore amico che mi aveva chiamato per un parere.
La sceneggiatura era divertente, piena di gag che si ispiravano all'esperienza carceraria dell'autore, ma non aveva una vera e propria struttura.
Ci eravamo accordati per riscrivere la sceneggiatura senza stravolgerla, ma dandole un senso cinematografico.
A questo punto vorrei fermare la cronaca per dire due parole sul Califfo.
Prima di incontrarlo non avevo una opinione su di lui e sulla sua opera: sempre troppo distante dai miei gusti musicali. Ho ascoltato con attenzione le sue canzoni e ho trovato cose molto belle - "Minuetto" e "La musica è finita" portate rispettivamente al successo da Mia Martini e da Ornella Vanoni, su tutte - ma ad impressionarmi più favorevolmente sono stati alcuni dei suoi monologhi, come "Piercarlino".
Poi ho capito che cosa significava Califano - al di là dei miei gusti - per un sacco di persone.
Una sera che eravamo insieme in pizzeria, ho assistito a una vera e propria processione di gente che voleva fotografarsi con lui, che gli faceva i complimenti, che desiderava "confessarsi" e scambiare due parole con il "Maestro". Quando siamo usciti dalla pizzeria, la nostra auto era bloccata in un vicolo e una signora, riconoscendo Califano, ci ha aperto il cancello della sua villetta per farci fare manovra... e poi si è fermata a chiacchierare un po' con lui, fecendo uscire dalla casa anche il marito e figli.
Califano è un uomo generoso, disponibile e simpatico, molto diverso dal personaggio pubblico che negli anni, anche per colpa sua, gli si è appiccicato addosso.
Poi la sceneggiatura non è andata in porto: Califano era molto resistente ai cambiamenti e, anche a causa di altri impegni da parte mia, ci siamo poco a poco allontanati. So che ha provato a riproporla ad altri produttori, senza successo e me ne dispiace: con un po' di lavoro avrebbe potuto, comunque, venire fuori un buon film.
Di Califano e dei nostri incontri, continuo a serbare un ottimo ricordo.
L'altro giorno quando ho letto che in seguito a gravi problemi di salute, non poteva più fare serate e che invocava la legge Bacchelli, mi sono molto addolorato.
Sinceramente non so se a norma di legge abbia diritto o meno a questo sussidio - percependo comunque un reddito dai proventi SIAE, credo, giustamente, di no - ma ho trovato oltremodo insultanti e insopportabilmente moraliste le parole del presidente del Codacons:
'Il cantante afferma di percepire ogni semestre dalla Siae circa 10mila euro di diritti d'autore, ossia 20mila euro su base annua. Se pensiamo che in Italia il 71,9% delle pensioni non supera i 1.000 euro mensili (12.000 euro annui) e che quasi un pensionato su due (45,9%) vive addirittura con meno di 500 euro al mese (meno di 6.000 euro annui), direi che il signor Califano non se la passa certo male'
E' la solita politica del mischiare capre e cavoli, di quelli che pensano che se tu hai un problema c'è comunque chi ne ha uno più grave del tuo, quindi a che pro risolverlo? Un atteggiamento che conduce a quel "così fan tutti", buono per ogni occasione, soprattutto in politica. Invece no, le differenze e le sfumature esistono, eccome!
Califano, comunque la si pensi, è un artista che ha dato qualcosa - EMOZIONI, dice nulla questa parola così sottovalutata di questi tempi? - a parecchia gente. Mi fanno sorridere tutti quelli che in questi giorni hanno scritto che non ha mai prodotto "cultura": che provino a chiederlo ai suoi numerosissimi e devoti fans?
Io credo che Franco Califano meriti più rispetto, soprattutto ora che si trova in difficoltà.
Bene ha fatto quindi Renata Polverini - da cui politicamente non potrei essere più distante - a provare a risolvere il problema, incontrandolo e cercando di capire come stiano realmente le cose, al di là di ogni facile moralismo e di qualche sbracato lancio di agenzia.

domenica 7 novembre 2010

I morti camminano sul serio











Una serie a fumetti di culto da cui partire. Un Kinghiano di provata fede come Frank Darabont - regista del bellissimo "Le ali della libertà" e de "Il miglio verde" - alla sceneggiatura e alla regia dell'episodio pilota. Il leggendario Gregory Nicotero - "La casa II", "L'armata delle tenebre", "Dal tramonto all'alba", "Kill Bill I e II", "Hostel I e II" solo per citare alcuni dei film più noti a cui cui ha prestato il suo visionario talento negli ultimi 25 anni - agli effetti speciali e al make-up. Una rete come la AMC, che ci ha donato serie come "Mad Men" e "Breaking bad" a sovrintendere il tutto. Poi, last but not least, gli zombie, non quelli adrenalinici e insopportabilmente veloci di Danny Boyle, ma quelli veri e esistenzialmente inquietanti, di George Romero.
Le premesse per farci ben sperare c'erano tutte... e sono state mantenute.
L'episodio pilota di "Walking dead" andato in onda lunedì scorso su FOX - canale 110 della piattaforma SKY - in contemporanea con gli Stati Uniti, è davvero molto bello. Teso, angosciante e abbondantemente splatter, com'era giusto che fosse. Poi nelle puntate che seguiranno, verranno approfondite anche tutte le vicende personali dei protagonisti - qui solo introdotte - ma quello che c'è già stato basta e avanza.
Per noi che rivediamo con gioia "La notte dei morti viventi" e "Zombie" ogni volta che possiamo e che ci divertiamo ancora come dei bambini a giocare a ogni nuovo "Resident Evil" che esce, questa serie è davvero una grande gioia.

José Saramago



















Amo i romanzi di Jose Saramago - "Il vangelo secondo Gesù Cristo" e "Cecità" su tutti - e mi sono molto emozionato a leggere oggi su "La Stampa" uno dei suoi ultimi scritti, realizzato poco prima della morte per il volume "Parole di libertà", edito da SE.
Il testo completo lo trovate QUI.
In questa sede volevo riportare due frammenti che mi hanno colpito e che hanno molto a che fare con la scrittura, qualunque tipo di scrittura.
Ora, la vita è fatta di piccole e minuscole occupazioni. Una di queste è scrivere. Dal punto di vista di Sirio, neppure il viaggio dalla Terra alla Luna assume tanta importanza. Ma qui, sulla superficie terrestre, mettere una parola davanti all'altra, e in particolare in questo bugigattolo del pianeta, si rivela come operazione molto importante. Positiva o negativa che sia. Sarà positiva se ciascuna parola verrà soppesata e misurata, riconsegnata al suo vero valore – e non usata come cortina fumogena o accesso al museo di anticaglie. Sarà positiva se ridesterà in chi legge un'eco che non provenga dall'oscura condiscendenza all'illusione e all'inganno che sonnecchia sul fondo dell'inerzia in cui siamo vissuti. Sarà positiva se... E così via, senza ulteriori spiegazioni.
E ancora.
La Terra prosegue il suo cammino avvolta in un clamore di forsennati sbraitanti, ululanti, avvolta anche in un docile mormorio, smorzato e conciliatore. C'è di tutto fra i coristi: tenori e tenori leggeri, bassi, soprani dal do di petto facile, baritoni imbottiti, mezzo contralti. Negli intervalli, si ode il suggeritore. E tutto ciò stordisce le stelle e perturba le comunicazioni, come le tempeste solari. Perché le parole hanno smesso di comunicare. Ogni parola è pronunciata affinché non se ne oda un'altra. La parola, anche quando non afferma, si afferma. La parola non risponde, né domanda: ammassa. La parola è l'erba fresca e verde che copre le cime aguzze dell'invaso. La parola è polvere negli occhi e occhi bucati. La parola non rivela. La parola maschera. Per questo occorre mondare le parole affinché la semina si trasformi in raccolto.

sabato 6 novembre 2010

Ragionamento non richiesto sulla televisione generalista in Italia









Tra le preoccupazioni delle reti e dei produttori televisivi italiani, quella di non offendere nessuno occupa una posizione di alta classifica.
Per tre stagioni sono stato lo story editor di "Rex" e ho scoperto che esiste un apposito ufficio della polizia di stato che, quando in una serie sono presenti dei poliziotti, controlla le sceneggiature. Può succedere che questo ufficio chieda agli sceneggiatori di cambiare qualcosa di lesivo per il buon nome della polizia: tagliare una scena, eliminare un personaggio o modificare qualche dialogo. Niente di scandaloso considerando che la polizia è importantissima durante le riprese: per fornire mezzi (auto, barche o elicotteri) e divise, per far chiudere una strada, ecc. Alla fine si tratta di qualche piccola concessione in cambio di un enorme aiuto: quale produttore non sacrificherebbe un po' della libertà del suo sceneggiatore per tutto questo?
Poi ci sono il Moige e il Codacons, bestie nere di ogni rete. Non si sa mai quando e dove potranno colpire e questo tarpa le ali, oltre che alle reti nel momento in cui approvano una serie, anche agli sceneggiatori che la devono scrivere. Di recente il Moige si è lamentato per le scene di nudo in "Terra ribelle" e tre anni fa il mio "Rex" aveva subito le proteste del Codacons perché era diverso da quello originale (sic).
Ma non è solo questo: bisogna sempre stare attenti alle minoranze, ai vari localismi, alle sensibilità individuali, prestare orecchio alle esigenze delle casalinghe di Voghera e di Treviso - a tutt'oggi buona parte dello zoccolo duro di Rai 1 - e chi più ne ha più ne metta.
Ci sono temi che non possono essere trattati: la pedofilia per esempio. E ce ne sono altri che viaggiano in libertà vigilata, tipo l'omosessualita, la violenza o la religione se non lo si fa in modo rispettoso e agiografico.
In una televisione governata dalla pubblicità non si possono mandare in onda fiction troppo angoscianti o disturbanti: l'horror è bandito e il finale positivo è - quasi sempre - d'obbligo.
Le necessità congiunte di fare ascolto, incamerare pubblicità e di non scontentare nessuno, spingono le reti a produrre sempre le medesime cose: serie familiari, feuilleton in costume, storie di papi e santi, gialli che nemmeno quelli della settimana enigmistica, storie vere zeppe di buoni sentimenti, biografie annacquate di personaggi famosi: fiction che non solo non sono lo specchio del paese reale, ma non lo sono di nulla se non di loro stesse.
Le eccezioni a questa regola, negli ultimi anni, sono state solo due: "Il commissario Montalbano" e "L'ispettore Coliandro", ma solo perché avevano alle spalle due pesi massimi come Camilleri e Lucarelli e il successo dei romanzi da cui partivano.
Date queste premesse chiedetevi ora quante delle serie televisive americane che vi piacciono potrebbero essere prodotte in Italia?
E chiedetevi perché mai uno sceneggiatore dovrebbe proporre qualcosa di nuovo - ammesso che sia stato in grado anche solo di idearlo - sapendo che, tanto, nessuno glielo metterà mai in produzione?

giovedì 4 novembre 2010

Roma FilmFest












Nell'ultima settimana sono stato a Roma, al festival del cinema. Ho visto svariati film, uno bello - Animal kingdom - un paio carini, gli altri tutti piuttosto brutti e, purtroppo, inutili. L'impressione è che il livello del concorso fosse mediocre; leggermente meglio i film delle sezioni collaterali. Insomma, se proprio vogliamo dirla tutta, niente di paragonabile a un qualunque festival di Cannes, Venezia o Berlino, anche per quanto riguarda l'organizzazione.
Ho visto cose che voi umani non potreste immaginarvi: persone accreditate che rimanevano fuori dalle sale perchè erano stati venduti più biglietti del dovuto, Bruce Springsteen che veniva fatto entrare in sala mentre il pubblico della precedente proiezione defluiva dalla medesima uscita, con il casino che potete immaginare, un film - Social Network - proiettato in una copia doppiata in italiano e senza sottotitoli in inglese, un altro - Carlos - tolto improvvisamente dalla programmazione e sostituito all'ultimo momento da un non eccelso film francese già mandato almeno tre volte nei giorni precedenti.
Però ho anche visto da vicino e quasi toccato due dei miei miti: Bruce Springsteen e Martin Scorsese, quest'ultimo a Roma per presentare una splendida versione restaurata de La dolce vita di Federico Fellini: tre ore di puro e meraviglioso cinema, questo sì.
Ed è proprio di Martin Scorsese l'unico capolavoro che si può vedere alla rassegna, a meno che da qui a sabato non ne saltino fuori altri, cosa di cui, viste le premesse, dubito. Sto parlando dell'episodio pilota di Boardwalk empire - serie scritta da Terence Winter, uno degli sceneggiatori storici dei Sopranos, prodotta dalla HBO e da Scorsese stesso - che, come capita sempre più spesso, pur essendo realizzato per la televisione, è più cinema del cinema vero. Ed è anche il miglior film di Scorsese da parecchi anni a questa parte: da Casinò a detta di chi scrive.
La serie racconta con rigore formale e grande sapienza narrativa il proibizionismo ad Atlantic City intorno agli anni '20. Tra gli attori un grandissimo Steve Buscemi e Michael Pitt, oltre a un'infinità di caratteristi uno più bravo dell'altro.
Chi avesse l'occasione di vederlo non se lo faccia scappare.

domenica 24 ottobre 2010

Kiai



















In questi giorni riflettevo su che cosa sia importante per costruire una buona storia.
Quand'ero molto giovane - uno "scrittore libero e bello" per usare un'espressione cara a Renato Queirolo - pensavo che questo qualcosa fosse una trama ricca di colpi di scena e di azione. Poi ho capito, soprattutto grazie a R.Q. che i personaggi erano ancora più importanti di questo. Passato qualche anno ho aggiunto all'elenco anche la capacità di inserire, in una storia, dettagli credibili.
Okay: trama avvincente e colpi di scena, personaggi e sapiente uso dei dettagli, poi?
E poi c'è la cosa più importante senza la quale tutte le cose appena elencate non contano (quasi) nulla: la forza evocativa.
E mi sono ricordato una bellissima lezione tenuta da Andrea Pazienza alla scuola "Zio Feininger" di Bologna, che immeritatamente frequentavo a metà degli anni '80. Con l'aiuto di una spada da Kendo che, come una buona storia, avrebbe dovuto colpire il Kiai, il plesso solare, Andrea ci aveva spiegato da par suo che cosa significasse la parola "evocazione" e come fosse importante per uno scrittore.
L'evocazione è, per usare parole sue, la capacità da parte di un autore di fare in modo che il cuore del proprio lettore (o spettatore) riesca a pulsare una volta in più o in meno, che l'adrenalina circoli in modo più veloce o più lento e che le ghiandole secernino un liquido piuttosto che un altro: insomma, che qualcosa in chi legge (o guarda) quello che tu hai creato, cambi. Per sempre.

mercoledì 20 ottobre 2010

Unhappy days



















Un altro pezzo della mia infanzia che se ne va.
All'età di 83 anni, ieri è morto Howard Cunnigham.
Per me e per quelli della mia generazione è stato il padre ideale, quello che tutti avremmo voluto avere.
Affranto, mi unisco al dolore della moglie Marion, dei figli Richie e Joanie.
Ci mancherai Tom Bosley. Ci mancherai tantissimo.

La famosa invasione dei nazisti in Sicilia














Qualche anno fa un regista piuttosto famoso - di cui non farò il nome - mi chiese di lavorare a una sceneggiatura che aveva nel cassetto da anni. Un produttore era interessato a farne un film e voleva che io la sistemassi. Ogni regista che si rispetti è capace di autoconvincersi che ci sia un produttore interessato a qualcosa di suo, anche quando - ed è così la maggior parte della volte - non è così.
Ma torniamo a noi.
La storia era ambientata in Sicilia nel 1944, durante l'occupazione tedesca e raccontava di una bambina ebrea costretta a nascondersi per non essere deportata in Germania. A darle asilo era la vedova di un mafioso che, dopo la morte del marito, aveva iniziato a gestire, pur tra mille difficoltà, i suoi affari, diventando a sua volta un vero e proprio capomafia.
Il pitch non era nemmeno male, ma si portava dietro almeno due problemi:
a) Non c'era mai stata un'occupazione tedesca della Sicilia: gli alleati erano sbarcati sull'isola prima dell'8 Settembre.
b) Ci furono sì ebrei siciliani deportati in Germania, ma non dai nazisti. Furono i fascisti a farlo.
Per ovviare a questi "piccoli" problemi proposi due soluzioni:
a) Anticipare gli eventi di qualche anno e mettere i fascisti al posto dei nazisti (cosa che, però, ci avrebbe costretto a riscrivere parecchio).
b) Ambientare la storia non più in Sicilia, ma in qualunque altra parte d'Italia, occupata dai tedeschi (cosa che ci avrebbe costretto a togliere la mafia).
Il regista disse di non voler rinunciare né ai nazisti né alla Sicilia. Io cercai ancora per un po' una soluzione, senza riuscirci. Il regista si innamorò di un altro progetto.
E il film non si fece più.

martedì 12 ottobre 2010

Qualcosa che vale la pena fare














Diego Cajelli apre un laboratorio di sceneggiatura online. QUI trovate il post che dà avvio al tutto.
Diego ha un'esperienza quindicinale nel campo ed è un insegnante strepitoso: lo so perché tanti anni fa mi invitò a una sua lezione alla Scuola del fumetto di Milano e lo vidi all'opera.
Ovviamente non potrò iscrivermi al suo corso (a meno di non farlo sotto falso nome ;-) ma seguirò nell'ombra tutte le lezioni, sicuro di imparare qualcosa.

Quant'è grande questo campo da gioco?












Se il vostro è un film realistico c'è la possibilità che riusciate a farne a meno, ma se, invece, è un fantasy-horror-fantascientifico, allora non c'è verso di sfangarla.
Sto parlando della scena che io chiamo: "Quant'è grande questo campo di gioco?"
Ne ho compresa la necessita quando ho scritto per Lamberto Bava un Tv-Movie intitolato: "Presagi". Annalisa, la protagonista, era una medium e sognava omicidi che dovevano ancora accadere. Poco prima dell'inizio del secondo atto, ho inserito una scena in cui Harry - il co-protagonista - le domandava come funzionassero i suoi poteri. Le risposte di Annalisa servivano allo spettatore per stabilire che cosa, con i suoi poteri, lei potesse fare e che cosa no, insomma, ho fissato i confini del nostro campo di gioco.
Ieri sera ho visto "Inception" - bello - e mi sono imbattuto esattamente nello stesso tipo di cosa: lì per delimitare il campo di gioco, hanno usato, oltre alle parole, anche una scena apposita piena di effetti speciali, ma il senso era lo stesso.
E' stato divertente.

lunedì 11 ottobre 2010

Sherlock













Parliamo di Sherlock Holmes di cui sono, fin da bambino, un fan sfegatato.
Mettiamo il caso che la Warner Bros e la BBC decidano di usare il personaggio di Conan Doyle, rispettivamente, per un film e per una miniserie in tre puntate.
La Warner Bros decide di ambientare il film nell'800, restando in questo fedele ai romanzi.
La BBC decide di ambientare la miniserie ai giorni nostri, come aveva già fatto con l'eccellente Jeckyll, non a caso scritto dal medesimo autore: Steven Moffat, sceneggiatore anche di alcuni pregevoli episodi di Doctor Who e del nuovo film di Steven Spielberg su Tintin.
La Warner Bros affida il ruolo di Holmes a Robert Downey Jr. e quello di Watson a Jude Law.
La BBC affida il ruolo di Holmes a tale Benedict Cumberbact e quello di Watson allo sconosciuto, almeno da noi, Martin Freeman.
La Warner Bros spende per il film 90.000.000 di $.
La BBC spende per l'intera serie circa 2.000.000 di £. Poco più di 3.000.000 di $ al cambio attuale.
Sia il film che la serie hanno come scopo quello di rifondare il personaggio creato da Conan Doyle, rendendolo più moderno, eppure "Sherlock Holmes" di Guy Ritchie è un film a tratti divertente, fracassone, ma, alla fine, piuttosto deludente e piatto, mentre la serie "Sherlock" della BBC è molto bella e cattura, pur con tutte le sue infedeltà, l'essenza stessa di Holmes.
Quindi, che cosa concludere?
1) Che anche gli inglesi sanno fare delle ottime serie televisive: quando potremo dire lo stesso di noi italiani?
2) Che negli ultimi anni la televisione - anche quella europea a quanto pare - è in grado di rinnovare il nostro immaginario molto meglio di come sia in grado di fare il cinema.

venerdì 8 ottobre 2010

Raccontami una storia...















Se riduciamo le storie alla loro essenza ci accorgiamo che quelle possibili sono pochissime.
Sono moltissimi gli studiosi si sono dedicati a questo aspetto della narrazione.
Secondo Blake Snyder le storie si possono dividere in dieci categorie.
Eccole, "quotate" in parte dal sito "Sceneggiatura for Dummies" di cui ho già parlato:

01. Il mostro in casa.

- Un “Mostro”, soprannaturale, con grandi poteri e animato da una forte malvagità.

- Una “Casa”, uno spazio definito che può arrivare fino allo spazio profondo.

-Un “Peccato”, qualcuno colpevole di aver portato il “Mostro” nella casa, spesso per ignoranza o leggerezza.

Film: Alien, Attrazione Fatale, Scream, The Ring

02. Il vello d’Oro.

Componenti:

- “Una strada”, un qualcosa da percorrere nel tempo o nello spazio. Abbastanza lungo da rimarcare una crescita dei personaggi.

- Un “Gruppo” di cui l’Eroe ha bisogno per affrontare la sfida. Il gruppo rappresenta le qualità, la conoscenza e i poteri che l’Eroe non possiede.

- Un “Premio” dai poteri così primordiali che ha i poteri di ristabilire l’ordine nel mondo alterato dell’Eroe.

Film: Salvate il soldato Ryan, Ocean’s Eleven, Maria piena di grazia.

03. Fuori dalla bottiglia.

Componenti:

- Un “Desiderio”, spesso irraggiungibile, chiesto dall’Eroe o posseduto da altri che implica una situazione fantastica o anomala.

- Una “Magia” straordinaria e fuori dalle regole logiche che diventa logica, comune e attuabile tramite delle regole fissate nella storia.

- Una “Lezione” sintetizzata con “Stai attento a quello che desideri!”. Questo è il tema principale di questo genere di storie.

Film: Cocoon, Quello che le donne vogliono, Quel pazzo venerdì.

04. Un Tizio con un problema.

Componenti:

- Un “Eroe Innocente” che viene coinvolto nel problema inavvertitamente ed involontariamente.

- Un “Evento Scatenante” che arriva all’improvviso e modifica la normale vita del protagonista.

- Una battaglia per la sopravvivenza, personale o degli affetti dell’Eroe, o per la continuità di un modo di vita. Il range va dalla persona singola all’umanità intera.

Film: Die Hard, I tre giorni del Condor, Deep Impact.

05. Riti di passaggio.

Componenti:

- Un problema di “vita” in un arco che varia dalla pubertà alla morte.

- Un modo sbagliato di affrontare il problema spesso nel subconscio.

- Una risoluzione che comporti l’accettare una dura verità legata al problema che il protagonista ha combattuto.

Film: Ten, Kramer contro Kramer, Ordinary People.

06. Buddy love.

Componenti:

- Un “Eroe Incompleto” a cui manca qualcosa dal punto di vista fisico, etico, morale o spirituale. Questa mancanza gli genera dei grossi conflitti interiori.

- Una controparte che realizza o rende possibile questa mancanza o che ha qualità per compensare questa mancanza dell’Eroe. Spesso storie basate su un “Triangolo Affettivo” o su due coppie.- Una complicazione generata da incomprensione, una situazione, un punto di vista, dalle regole della società.

Film di esempio: Arma Letale, Titanic, Brokeback Mountain, The Black Stallion

07. Perché-l’ha-fatto?

Componenti;

- Un “Detective”, sia esso professionista o immaginario, che non cambia e non ha una crescita interiore durante tutto l’arco narrativo della storia.

- Un “Segreto” che coinvolge il caso della storia così grande da implicare denaro, potere, sesso o fama.

- Un “Colpo di scena Dark” che fa uscire il “Detective” fuori dalle sue regole morali ed etiche per rincorrere ed risolvere il “Segreto”.

Film: Quarto Potere, Blade Runner, Fargo, Mystic River, Tutti gli uomini del Presidente.

08. Il Folle Trionfante.

Componenti:

- Un “Folle” iper-sensibile, la cui forza è la sua innocenza e le sue maniere gentili sono motivo del suo stato di isolamento.

- Un “Gruppo Sociale”, una comunità le cui regole generano conflitti con il modo di vivere e pensare del protagonista. Classico esempio di “pesce fuor d’acqua” confinato in un ambiente in cui le regole emarginano il protagonista.

- Una “Trasformazione Totale” in cui il “Folle” diversa una persona nuova o totalmente diversa. Spesso include anche un cambiamento di nome o di identità, sia per sbaglio che per rimanere incognito.

Film: Oltre il giardino, Tootsie, Forrest Gump, Amadeus.

09. Istituzionalizzato.

Componenti:

- Ogni storia di questa categoria parla di un gruppo, di una famiglia, di un’organizzazione.

- La storia è una “Scelta” che confronta un singolo (preparato o impreparato) contro una persona che rappresenta il sistema.

- Un “Sacrificio”dipendente dalla “Scelta”.

Il finale ha tre opzioni per il protagonista:

- Unirsi con chi stava combattendo.

- Eliminare chi stava combattendo.

- Suicidarsi o immolarsi.

Film: MASH, Training Day, Crash

10. Supereroe.

Componenti:

- L’Eroe della vostra storia deve avere dei poteri speciali.

- L’Eroe deve essere opposto da un nemico (Nemesi) con forza e poteri al pari o superiori a quelli dell’Eroe.

- Una “Maledizione” sull’Eroe, il prezzo pagato per i suoi poteri, che riuscirà nel corso della storia a superare o a soccombere ad essa.

Film: Toro scatenato, Matrix, Il Gladiatore, Spider Man II


Di recente ho letto un bel libro scritto da Christopher Booker e intitolato: "The seven basic plot" che riduce le categorie di Snyder portandole a sette.


a. Il mostro sconfitto.

Storie in cui l’eroe sconfigge un mostro o allontana una minaccia, arriva alla conquista di un tesoro oppure della mano dell’amata

Come Davide e Golia a Gilgamesh, fino a Lo squalo e alla saga di James Bond.

b. Dalle stalle alle stelle.

Storie di persone del tutto normali che scoprono in sé una seconda e migliore identità.

Come Cenerentola, David Copperfield e Jane Eyre o i protagonisti dei film La febbre dell’oro o My fair Lady.

c. La rinascita.

Qui occorre prima che qualcuno muoia. E che si tratti di morte apparente. O, per lo meno, simbolica. Poi qualcosa succede. Ed è un miracolo. Per cui ritorna la vita e la luce

Come in Biancaneve, Il Canto di Natale, Delitto e Castigo e Tutti insieme appassionatamente.

d. La ricerca.

Avventure e peripezie all’inseguimento di un obiettivo o di una ricompensa. Un tesoro di inestimabile valore o l’oggetto del desiderio. La salvezza eterna o qualche forma di redenzione morale.

Come ne L’Odissea e ne La Divina Commedia, ma anche ne: Il giro del mondo in 80 giorni e I predatori dell’arca perduta.

e. La commedia.

Storie di travestimenti ed equivoci, imbrogli scoperti e appuntamenti mancati. Ma poi tutto si aggiusta, per cui tutto è bene quel che finisce bene.

Come ne L’Avaro, Le Nozze di Figaro e i film dei fratelli Marx.

f. Il viaggio e il ritorno.

Storie in cui succede qualcosa (un naufragio, un incontro o una guerra) ch proietta gli eroi in una dimensione sconosciuta.

Come in Robinson Crusoe, in Alice nel paese delle meraviglie o in Via col vento.

g. La tregedia.

E' una storia che finisce male. Ma non solo. È costruita secondo una sequenza, vero e proprio archetipo, di cinque tempi. Gli eroi sono sopraffatti da una passione che li porta al disastro e alla morte.

Come ne L’Orestea, Anna Karenina”, Madame Bovary e Lolita.